Célestin Freinet

Freinet è l’educatore che occupa la posizione di maggior prestigio nel panorama pedagogico del Novecento, con una passione educativa, un’umiltà e una ingenuità calate in un’azione che non conosce pause. All’inizio della Seconda guerra mondiale, internato in un campo di concentramento, introduce corsi per analfabeti e organizza la formazione sindacale dei contadini. Finito il conflitto, tornato a Vence, di fronte alla “sua” scuola ridotta in macerie e con la comunità dei suoi sostenitori ormai dispersa, riprende dall’inizio il suo lavoro di educatore e promotore culturale.

Freinet è l’ideatore e il sostenitore appassionato di una scuola popolare costruita su misura della cultura del popolo, una scuola moderna e democratica capace di sottrarsi alle lusinghe teoriche e intellettualistiche delle numerose scuole nuove del primo Novecento, perché sostenuta da nuovi contenuti e da nuovi valori: la cultura del popolo e dei suoi bisogni espressivi, il lavoro, la vita comunitaria nella solidarietà.

Egli è convinto che il rinnovamento della scuola presupponga una sua riorganizzazione materiale: in ciò consiste il suo “materialismo” pedagogico. Quando si misura con gli esponenti di maggior spicco dell’attivismo pedagogico (come nel caso del Convegno di Montreux del 1932), Freinet constata che i pedagogisti della Scuola di Ginevra dispongono di un ambiente e di mezzi impensabili per la sua scuola di Bar-sur-Loup in cui insegna e, più in generale, per una scuola popolare di ambiente contadino. 

La distanza di Freinet dai teorici dell’attivismo pedagogico non è però riconducibile a questo solo dato materiale: è strettamente pedagogicae nasce da una visione complessiva assai diversa dei contenuti e dei metodi della scuola attiva. Egli condivide il motivo essenziale dell’attivismo, quello che pone al centro del processo educativo l’alunno; ma poi sottolinea come questa centralità dell’alunno venga nell’attivismo teorizzata in un contesto borghese e non popolare; inoltre la scuola attiva introduce attività che poco hanno a che fare con il lavoro, mentre la soggettività dell’alunno e i suoi interessi vengono ben presto sacrificati all’oggettività dei vecchi programmi scolastici e dei contenuti culturali di sempre. I centri di interesse di Decroly, per esempio, sono predefiniti (e dunque bloccano in anticipo la spontaneità degli alunni) e assai presto si trasformano in centri di argomento; così come tutta la scuola attiva, dopo aver celebrato in astratto la soggettività e la creatività del singolo, le sacrifica all’apprendimento dei saperi adulti. Occorre modificare materialmente la scuola, affinché oggettivamente nella concretezza del lavoro di scuola trovino espressione gli interessi degli alunni e la loro soggettività.

Quando nel 1920 Freinet arriva nella scuola di Bar-sur- Loup, trova la tipica classe con «banchi a leggio dispo- sti in fila, cattedra per l’insegnante, attaccapanni fissati al muro, lavagna a cavalletto». Questa sistemazione gli sembra squallida, autoritaria e del tutto inadatta alla sua visione dell’insegnamento, simile più allo spazio di una prigione che al luogo in cui si devono formare le personalità dei suoi giovani allievi: «le finestre affacciano sul cortile rustico del vecchio castello, vicino ad una fontana, all’ombra di un grande platano, ma sono poste così in alto da sconsigliare la curiosità dei bambini. Sui muri grigi, solo qualche carta geografica della Francia, pannelli con il sistema metrico, esercizi di lettura e, in un angolo, un pallottoliere».

Proprio nello stesso periodo un altro pedagogista francese, Roger Cousinet (1881-1973), elabora un metodo educativo basato sul lavoro libero organizzato per gruppi, che a Freinet sembra più rispondente alla sua idea di “scuola vivente”, di cooperazione educativa e di rapporto integrato con l’ambiente che egli prevede per i suoi allievi. Da qui la diversa organizzazione della classe, che non è più pensata per lezioni frontali, ma risponde alle esigenze del lavoro di gruppo, della libera espressione dei ragazzi e della loro partecipazione attiva al processo di sperimentazione, apprendimento e formazione.

 


Il dinamismo psichico originario

  • Per spiegare la tensione irresistibile dell’individuo alla conoscenza e alla crescita, alla scoperta e all’espansione della sua personalità, Freinet si richiama alla nozione di slancio vitale di Ferriére. Il termine non ha però la stessa pregnanza filosofica , ma intende valere unica- mente come fondamento psichico del dinamismo vitale, che si esprime nel tâtonnement: il bambino è spinto a esplorare se stesso e l’ambiente che lo circonda attraverso un gioco di progressivi adattamenti sperimentali, dapprima meccanici e poi, via via, coscienti. La sua crescita è l’esito di queste interazioni tra il proprio io e l’ambiente, tra le assimilazioni e gli accomodamenti che via via si istituiscono.

  • Il tâtonnement expérimental potrebbe far pensare all’apprendimento per “prove ed errori” dei behavioristi. Freinet fa però intervenire quello che nei behavioristi è un meccanismo, cioè la crea- tività. Nei nostri apprendimenti procediamo un poco a tentoni, ma con un largo uso della nostra creatività. Se questi sono i tratti del nostro modo di apprendere, è chiaro che viene escluso ogni insegnamento precostituito di tipo tradizionale.

  • Apprendere è ricercare, tentare, rischiare, formulare ipotesi, andare a tentoni, avendo però sem- pre chiaro l’orientamento del proprio procedere. Il tâtonnement di Freinet non è meccanico, ma intelligente; e nella scuola richiede di essere orientato nel senso dei valori: della cultura popolare; della scuola laica, democratica, popolare; della formazione integrale della personalità.

  • Secondo Freinet, il bambino è sollecitato dallo slancio vitale a crescere, a conoscere, a fare, a co- struire, a ricercare, e lo fa procedendo a tentoni, o per così dire per via sperimentale. Questo è il modo naturale di apprendere e di crescere del bambino, e questo deve essere il metodo seguito dalla scuola.


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